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L’usura come una “arma carica”

La Legge Anti-usura ha rappresentato un passo fondamentale volto a risolvere il problema usura, definendo e regolando i rapporti fra banca e clienti al fine di prevenire condizioni contrattuali usurarie, che rappresentano –metaforicamente parlando!– una vera e propria arma carica puntata al cuore del sistema economico-produttivo

di Simone Galimberti 16 feb 2012 ore 16:19

In funzione di quanto espresso nel precedente intervento, andiamo adesso ad analizzare il quadro legislativo di riferimento che definisce e regola la materia in tema di tassi d’interesse ed usura.
Cardine di tutto l’impianto normativo in materia è la Legge 108/96 (anche detta Legge Anti-usura), che è entrata in vigore il 24 marzo 1996, essendo stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1998 n. 58, ed ha profondamente modificato l’art. 644 del Codice Penale, dal titolo “Usura”.

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In particolare l’art. 1 comma 1 di tale legge ha definito come usuraio chiunque “si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, da soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e ai tassi praticati per operazioni similari dal sistema bancario e finanziario, risultano sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità”.
L’usura, quindi, ai sensi di quanto disposto dalla Legge 108/96, si può realizzare in due differenti modi:

a) una prima fattispecie
è esplicitata dal comma 1° e 3° (prima parte) dell’art. 644 c.p. nella seguente maniera: “Chiunque ... si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, é punito ... La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.” Si parla in questo senso di usura oggettiva, essendo che è “oggettivo” il parametro di rilevazione (determinato oggigiorno da Banca Italia) secondo il quale si può determinarne la presenza o meno;

b) l’altra  fattispecie di usura è rappresentata nella seconda parte del comma 3° dell’art. 644 c.p. (così come modificato dall’art1, comma 1 della L. 108/96) e prevede che sono “altresì usurari gli interessi, anche se inferiori [al limite stabilito dalla legge] che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alle prestazioni di denaro …, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”, individuando in tal modo la cosiddetta usura soggettiva.


Le definizioni sono piuttosto chiare e non suscettibili di interpretazioni, tanto che sembra davvero incontestabile come sia in un caso (usura c.d. “oggettiva”) che nell’altro (usura c.d. “soggettiva”) il reato di usura risieda fin dal principio – ab ovo – nello stesso accordo sottoscritto. In tale documento una delle parti (quella contrattualmente più forte) si fa dare e/o si fa promettere un corrispettivo usurario, mentre l’altra parte (quella più debole) accetta di dare e/o promettere ciò che le si richiede.

In questo senso, quindi, si può senza ombra di dubbio affermare che il contratto stesso è la “prova provata” dell’usura, aldilà degli effettivi esborsi successivi derivanti dal contratto, ognuno dei quali conferma la consumazione del reato.

 

pistola_rapinaL’oggetto principale ovvero “la smoking gun” (i.e. la pistola fumante) del delitto di usura è, quindi, l’accordo, da cui risulta che penalmente responsabili del reato di usura sono materialmente tutti quei soggetti coinvolti nel disegno criminoso, a partire da chi materialmente stende e fa sottoscrivere il contratto usurario per finire con chi, poi, ne richiede il rispetto.

Precisiamo che la legge n. 24 del 28 Febbraio 2001 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394, concernente interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura) all’art. 1, comma 1 dice espressamente che si intendono usurari gli interessi promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

Riprendendo l’efficace metafora della “pistola fumante” di cui sopra, laddove vi sia stato uno “sparo” (cioè l’usura) il tecnico balistico non potrà limitarsi a ricercare ed esaminare il “proiettile” (che in questo senso è rappresentato dagli interessi pagati), ma parimenti dovrà analizzare approfonditamente la “pistola” rinvenuta sulla scena del delitto (il contratto stesso) per verificare se essa sia in grado di “sparare” (di produrre, cioè, usura) o se, piuttosto, sia solo una innocua “arma giocattolo”, come quella in figura.

Un particolare da non sottovalutare quando parliamo di usura: la sanzione penale prevista per il reato di usura semplice è “la reclusione da due a dieci anni”. L’usura, quindi,  è a tutti gli effetti considerata dal legislatore un reato grave alla stregua, per es., della rapina (art. 628 c.p.), per la quale il reo è punito con pene da tre a dieci anni, a meno di eventuali aggravanti.

 

Un’ultima nota: quanto detto nei precedenti articoli in tema di anatocismo è, altresì, applicabile parlando di usura, considerando come una clausola anatocistica non dimostra altro che il disegno di richiedere degli interessi mano a mano sempre crescenti, potenzialmente infiniti. Il meccanismo dell’interesse composto, infatti, porta giocoforza a tassi sempre più elevati con la conseguenza che anche nell’anatocismo risiede sicuramente il germe dell’usura.

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